Page 13 - Bollettino Novembre - Dicembre 2018
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Racconti Missionari
A COME ACCOGLIENZA
Ero arrivato da poco in Congo e nel gennaio del 1984, arrivo nella missione di Baraka sul lago Tanga- nika. Comincio a studiare (già lo aveva fatto da ottobre a dicembre 1983) in concreto la lingua swahili e piano piano preparo le omelie per la Messa domenicale.
Qualcuno mi suggerisce di ag- giungere anche un piccolo raccon- to per attirare l’attenzione della gente. E così ho cominciato a scri- vere delle piccole storie che com- mentavano il Vangelo.
Quella di oggi riguarda Matteo 15,21-28 (la donna straniera).
Tanti anni fa, in un villaggio si fece una grande festa. Danze, canti, accompagnati dal tamburo, porta- vano la gioia dappertutto.
I bambini ogni tanto facevano confusione. Gli anziani commen- tavano: “Come cambiano le cose. Una volta i vecchi erano rispettati. Oggi nessuno ci considera più. Che tempi!”.
Le donne erano ormai rientrate dal lavoro dei campi per preparare da mangiare e la birra di banane. Verso sera, i giovani smisero di dan- zare, perché ormai la fame si faceva sentire. All’improvviso, tutti vedono tre persone che si stanno avvicinando al centro del villaggio. Nessuno li co- nosceva. Erano stranieri.
I bambini cominciarono a dirsi l’un l’altro: “Ma chi sono? Da dove vengono? Da quale tribù?”. Un vec- chio del villaggio si avvicinò e do- mandò loro: “Da dove venite? Cosa cercate? “.
Gli stranieri risposero: “Veniamo dalle montagne. Abbiamo fatto un lungo viaggio. Siamo stanchi e mo- riamo di fame.
Per favore, dateci da mangiare”. Tutti cominciarono a mormorare: “Non è giusto. Sono stranieri e di un’altra tribù. Non hanno diritto al nostro cibo”.
Ma il vecchio disse ancora:
“Smettetela di fare confusione. Anche loro sono persone come noi. Perché dobbiamo rifiutare loro il cibo? Mamme, fate in fretta. La fe- sta deve continuare e questi stranieri saranno gli invitati d’onore. Da ora saranno nostri amici”.
Finalmente tutti ascoltarono que- sto buon consiglio. La festa divenne più bella, perché avevano accolto nuovi amici.
E ricordando questa storia, mi viene spontaneo metterla vicino a quello che succede in questi giorni, non solo con i migranti, ma anche con altre persone che si incontrano per strada, che magari non ci piac- ciono, che non tifano per la nostra squadra o il nostro partito o sono della nostra religione. Perché li ve- diamo spesso come nemici, come coloro che disturbano la nostra tranquillità, che possono farci del male?
Un giorno un professore di an- tropologia, in una conferenza, spiegò che la parola BARBARO non significa uno che non è vestito bene, rozzo, ma uno che balbetta, che non riesce a parlare bene la lin- gua dell’altro.
Allora mi viene da chiedermi, e questa domanda la rivolgo a cia-
scuno di voi che mi leggete: “È pro- prio difficile dire a qualcuno che è il benvenuto a casa mia, nel mio paese, nella mia vita?”. Certo, per fare questo, bisogna cominciare a fare l’accoglienza in casa propria, in famiglia, nella scuola, nel di- vertimento, insomma nella vita di ogni giorno.
I primi giorni che ho trascorso in Africa (ne passarono poi per 13 anni e mezzo) sono stati quelli dell’accoglienza. Mi hanno accolto, mi hanno aiutato a sentirmi bene a casa loro ed io ho cominciato a sen- tirmi a casa mia. Non ci volevano grandi gesti. Bastava una stretta di mano, un sorriso, un condividere il cibo insieme, sedersi e chiac- chierare insieme, passare il tempo senza fretta, insomma sentirsi ami- ci come da sempre e soprattutto, iniziare a togliere i pregiudizi su di loro.
È stato un bel cammino e ne sento ancora tanta nostalgia. Sono stato accolto e imparato qualcosa di più su come accogliere polepole (senza fretta).
padre Oliviero Ferro, missionario saveriano, valsesiano
Novembre/Dicembre • 2018
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