Page 15 - Bollettino Novembre - Dicembre 2018
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Verso i 200 anni di presenza al Sacro Monte (2019)
GLI OBLATI DELLA DIOCESI DI NOVARA (quarta parte) IL PRIMO E PIENO OTTOCENTO
“La diocesi... aveva bisogno degli Oblati”. Il Ritorno in S. Carlo
Ma torniamo alle vicende degli Oblati, per le quali la breve ma necessaria parentesi di storia generale risulta funzionale. L’auspicato ritorno di Vittorio Emanuele I aveva ridato speranze ai molti che, dopo l’età napoleonica, desideravano un rapido ritorno alle tradizioni, alla monarchia, alla salvaguardia delle prerogative aristocratiche e degli ecclesiastici. Proprio questi ultimi, tanto depauperati dalle riforme e soprattutto dalle confische della Repubblica Cisalpina, videro con estremo favore l’avvento al trono del “pio” sovrano. Infatti, rileva subito l’oblato Roccio, “appena preso il possesso dell’antico suo dominio rivolse tosto gli sguardi alle piaghe profonde che affliggevano la religione”. Era dall’ormai lontano febbraio 1801 che gli Oblati – soppressa la loro Congregazione e costretti ad una forzata sopravvivenza, divisi e impoveriti – speravano in un futuro migliore, in un ritorno alle passate prosperità.
Convocati a corte arcivescovi e vescovi in rappresentanza del clero del regno, il re si fece consigliare: quali istituti, quali ordini e congregazioni andavano ripristinati per la salute spirituale dei suoi sudditi, e in che tempi? Per Novara, subito dopo aver perorato l’urgente ritorno dei Padri della Compagnia di Gesù, a favore degli Oblati parlarono l’abate Felice Botta e l’arcidiacono Agostino Zucchi, vicario capitolare, in rappresentanza dell’episcopio novarese, vacante per la morte di monsignor Melano di Portula. “La diocesi di Novara” caldeggiarono i prelati, prima di tutti gli altri ordini regolari “aveva bisogno [...] della Congregazione degli Oblati” e accompagnarono la proposta “con acconcia diceria” che compendiò ed esaltò i meriti dell’istituzione oblatizia descrivendo ad un tempo i vantaggi – spirituali e culturali - che una simile rinascita avrebbe significato per la città e la diocesi novaresi.
Convinto, Vittorio Emanuele venne rapidamente a una decisione, “...determinandosi Sua Maestà di fissare il locale” adatto, quale nuova sede, alla Congregazione. Dopo un doveroso consulto con l’amministrazione locale e il regio demanio, nonché con l’assenso del nuovo vescovo nel frattempo designato alla cattedra gaudenziana, Sua Eminenza il cardinale Morozzo, nel novembre 1817 si giunse alla decisione tanto agognata. Gli Oblati sarebbero tornati prestissimo a Novara e direttamente presso la loro antica sede di S. Carlo, già di proprietà – si è detto – del cardinale Balbis Bertone e allora nella disponibilità di suo nipote, il cardinal Morozzo. Erano “giunti finalmente i sospirati
La Cappelletta
giorni della restaurazione”. I “dispersi oblati” vennero invitati a ricongiungersi ma non vennero chiamati alla prima Consulta generale né l’oblato Tedeschi, ormai incapace di intendere e di volere, né un altro e non meglio precisato confratello, anch’egli purtroppo “...negli anni trascorsi ...accusato e condannato al carcere per baratterie e ladronecci”.
Nel corso di quella Consulta, come curiosamente si rammenta per puro colore, venne data la parola anche a un “certo Biagini, uomo intrigante e raggiratore” che, spiega il Roccio, al momento del suo intervento nell’ambito di quella importante riunione non apparteneva probabilmente più alla Congregazione: si precisa infatti che un tempo “fu oblato” e non solo: fu anche “giansenista, almeno in apparenza”. L’ex oblato, forse allora rientrato fra i ranghi del comune clero diocesano, dopo aver ottenuto – nel fatidico e liberatorio 1818 - la cura della parrocchia di Cameri prima e la prebenda teologale in cattedrale poi, e dopo essere diventato famoso per le sue lezioni di sacra Scrittura, che immancabilmente non mancavano “...di conciliare agli uditori il sonno” a causa delle sue lunghe e, c’è da credere, inconcludenti, “tediose tiratere”, venne invitato o forse - stando alle descrizioni caratteriali offerte dal cronista - si autoinvitò a prendere la parola.
Andrea Bedina
Continua nel prossimo numero.
Novembre/Dicembre • 2018
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