Page 7 - Bollettino Novembre - Dicembre 2017
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Conosciamo il Sacro Monte - n. 6 - Primo capitolo
Come poi dovessero presentarsi, che soluzione archi- tettonica dovessero sfoggiare le due celle campanarie, penso che sarà sempre impossibile dire: forse come quella poligonale che incorona il campanile di Masse- rano , realizzato da Enrico d’Enrico più di un quarto di secolo prima.
A meno che nel settecento esistesse ancora il disegno originale o fosse stato preso come spunto per la cella e la cuspide dell’attuale torre campanaria eretta su di- segno dell’Orgiazzi. Il vescovo Volpi nella sua visita si dimostra assai preoccupato soprattutto per il proble- ma finanziario, rendendosi conto che la costruzione era iniziata “ab annis quindecim circitur” e che i capitali lasciati da Agostino Beccaria erano “iam comsumtis” nelle strutture erette fino a quel momento e non tro- va altra soluzione che nelle elemosine. D’altronde sul Monte non tutto l’impegno è rivolto verso la chiesa nuova; bisogna provvedere anche alla prosecuzione ed al completamento di varie cappelle della passione del Signore, tanto per la parte architettonica che per le raffigurazioni scultoree e pittoriche. Negli anni suc- cessivi , per esempio, si darà inizio alle due cappelle all’inchiodazione alla croce (1632) e della Deposizione (1633) su disegno di Giovanni d’Enrico. I lavori quindi proseguono con lentezza e con fatica, più dispendiosi e più complessi di quanto ci si potesse immaginare. Ma si presenteranno anche degli imprevisti, dei problemi, il 2 febbraio 1640 si deve provvedere a delle urgenti riparazioni, perché “il voltone” della chiesa “minaccia rovina”. Si tratta cioè di quello eretto negli ultimi anni tra il 1628 ed il 40 appunto.
Vi è citato nel documento per primo Bartolomeo Ravelli, definito solo come “Sig.” mentre tutti gli altri vengono qualificati come “magistri”. Giovanni d’Enri- co, ormai anziano ed impegnato a Montrigone, com- pare solo come testimonio. “Si provveda ad avviare al preoccupante inconveniente ed a procedere nei lavo- ri”. Dal verbale della fabbrica del 25 febbraio 1542, risulta infatti che si è giunti alla chiusura della cupola: “serrare la cupola sopra la volta nel mezzo con metterli contro il ferro per attaccare l’Assunta e fornire d(etto) coro con le sue cornici et colonna et rasalti conferme al disegno del M. Bartolomeo Ravelli con il secondo Choro”.
L’intervento del Ravelli
Risulta quindi che il Ravelli è intervenuto per le pose della chiavarda che doveva sorreggere il gruppo statua- rio dell’Assunta, quasi certamente scolpito dallo stes- so Ravelli, scultore in legno, doppiamente interessato all’impresa (ben difficilmente si sarebbe chiamato un
altro al suo posto), e poi per fornire il disegno non tan- to di strutture murarie (in cui doveva aver dato delle prove non molto convincenti nel 25) quanto piuttosto di elementi architettonici -decorativi, come colonne, cornici, ecc, per completare tutta l’aula, comprendente presbiterio ed absidi attuali, in modo da poterla aprire al culto.
Le colonne poi, di cui non esiste più traccia, vennero veramente eseguite e poste ai due angoli posteriori del presbiterio, come si può ben vedere nelle due redazioni dell’incisione del Poer, databili verso il 1725, ma furo- no eliminate nella successiva rielaborazione dello scu- rolo e del presbiterio negli anni successivi .
Esse quindi non svolgevano nessuna funzione por- tante, ma un ruolo puramente ornamentale, scenogra- fico, e con ogni probabilità , dato che anche non ne esi- ste più traccia, non dovevano essere né di pietra, né di marmo, assai costosi sia per il materiale, che per la lavo- razione, che per il trasporto, ma più semplicemente di legno e stucco, fornite forse dallo stesso laboratorio del Ravelli. Così, con fatica, intoppi e grande tenacia dopo tanto lavoro si giunge all’apertura della prima parte della nuova chiesa. Scrive il Fassola: “Nel 46 fu termi- nato il Choro della Chiesa Maggiore, nel quale eretto un ricco Altare s’attendeva alla divozione con grandissimo fervore. Sopra di questo si depositò il miracoloso Simu- lacro di Nostra Dama. E fu trasportato dal Vecchio, dal Vescovo Tornielli processionalmente al nuovo Tempio, e qui il Vescovo cantò la prima Messa”, con gran concorso di religiosi e di popolo. Lo ripete nel 1686 il Torrotti.
Solo nel 1830 per primo il Bordiga invece scrive “Compiuta che fu la Chiesa (ossia presbiterio ed absi- de) l’anno 1649 nel giorno della Natività di Maria si fece con solennissima pompa il trasporto del simulacro...” essendo fabbricere il cavaliere gerosolimitano Giorgio d’Adda. Lo ripete il, Galloni e dopo di lui quanti si sono interessati della Basilica dell’Assunta. Rimaniamo dunque nell’incertezza: 1646 o 1649? Fu una delle tan- te sviste ed inesattezze del Fassola, un errore di stampa? Certo più affidabile pare il Bordiga, non solo in questo caso.
Si era intanto provveduto ad innalzare una parete an- teriore per chiudere l’aula destinata al culto e separarla dalla parte antistante, cioè della navata, ancor tutta da erigere, e permettere così agli scultori ed ai pittori di dare inizio nella cupola alla spettacolare raffigurazione del Paradiso. Si chiude a questo punto il primo capito- lo della vicenda costruttiva della chiesa nuova, durata dal 1614 al 49: ben trentacinque anni.
Casimiro Debiaggi
Novembre/Dicembre • 2017
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