Page 19 - Bollettino Gennaio - Aprile 2018
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o “basse”, primitive o moderne. In un certo senso, dunque, lo scopo è democra- tizzare la reazione.
p.632 - (reazioni sull’arte “primiti- va”)
...si può opinare che la posizione li- berale è troppo repressa, poiché cerca di applicare i suoi bravi termini formali- stici a reazioni che precedono con forza il senso di ciò che quei termini cercano di descrivere. Ma né l’una, né l’altra di queste posizioni hanno qui alcuna rilevanza. Io mi limito ad affermare il bisogno di integrare l’esperienza del- la realtà nella nostra esperienza delle immagini in generale, e nei termini del discorso critico sulle immagini e sull’arte.
p.635 - Quel che ci attrae è la dimensione o il colore, o il suggerimento di un odore, o il nauseante agglomerato della composizione della superficie
Id.
Ma questa non è una richiesta di migliori descrizioni o di una critica migliore, è un appello ad ampliare le possi- bilità di una migliore comprensione della reazione.
p.640 - Generazioni di teorici hanno rafforzato nell’o- pinione che la meraviglia e l’illusione della rappresenta- zione siano diversi dalla meraviglia e dall’illusione della realtà. Da questo punto di vista la rappresentazione è esattamente l’opposto di ciò che si è sempre supposto fos- se. La rappresentazione è miracolosa perché ci inganna facendoci pensare che è realistica, ma il suo miracolo con- siste nell’essere qualcosa di diverso da ciò che rappresenta. La grande fallacia delle teorie centrali della rappresen- tazione cui ho alluso in questa parte del libro è stata la seguente: essa ci ha fatto misurare la reazione (e il succes- so della creazione) in termini di distinzione assoluta tra rappresentazione e realtà.
p.641 - Nell’asserire questa lezione però non neghiamo e non dovremmo negare il senso pieno del soggetto, del re- alismo attribuito, o del successo dell’illusione nell’oggetto (come, al caso estremo, con l’uva di Zeusi, con Hoogstra- ten, Harnett e Peto; con i sacri monti, Kienholz e Duane Hanson)
a) Carrà ha dipinto una nota vista di Varallo con san Gaudenzio al centro, e probabilmente altri paesaggi della Valsesia a me non noti (nel 1924 venne quivi in vacanza di lavoro).
Il dipinto, ora in una collezione privata, del 1924, potrebbe essere esposto in una mostra magari ospitata temporaneamente nel bel ( e ricco) Museo della città. Divenne notissimo allorché campeggiò in prima pagi- na nel numero dei fortunati Maestri del colore dedicato a Carlo Carrà (1965).
Il Carrà di quel periodo è pittore capace di suggestio-
ni immediate per il colore e di ritrarre in modo popolare il mondo della vita. Gabriele Fantuzzi disse di Carlo Car- rà in Valsesia: “ Sono anche gli anni di quello che è stato definito un “singolare intermezzo”, ossia l’attività paesaggi- stica nei lavori che hanno per soggetto la Val Sesia: come il San Gaudenzio di Varallo, una composizione robusta con magnifiche e vivide intonazioni dove non è dato di vedere riaffiorare nessun romanticismo, nessuna “sensiblerie” di stampo letterario: gli elementi naturali del paesaggio, i monti, le piante, le case, il cielo, vi acquistano un rilievo plastico, che è proprio della pittura giottesca e in- sieme caratteristico del contatto diretto con la natura.
San Gaudenzio di Varallo (1924 – cm 25x 37 – par- ticolare Milano, coll. Privata
Questo tipico paesaggio, come indica la data, appartie- ne al periodo che potrebbe definirsi di intermezzo, in cui si riaffacciano le esperienze cézaniane: esperienze che si uniscono e si fondono ad una gamma di colori divenuta più ricca e ad un fare antico indimenticabile
c) Sul Sacro Monte all’ultimo piano della “Casa Pa- rella “ è ospitato il vecchio Museo del Sacro Monte, un tempo visitabile e da tempo abbandonato. Non v’è da meravigliarsi: delle opere d’arte italiane solo una par- te è esposta nei Musei. Molte altre opere giacciono in deposito nei musei. È lo scotto della ricchezza dell’arte italiana.
Mi consta che padre Giuliano ha da tempo in animo il progetto di far conoscere il Museo. Perché non anti- ciparlo con una mostra l’anno prossimo di alcuni degli oggetti, non solo d’arte, ivi presenti?
Per quel poco che ne so, tornerebbe alla luce, per così dire, un ricco materiale documentario della vita della Basilica, dalle sue origini al Novecento. Altre opere po- trebbero riguardare la storia del Sacro Monte, la perla di Varallo.
Diverso il discorso sull’iconologia e il Sacro Monte di Varallo. Validi spunti di analisi iconologica sono stati offerti da Elena De Filippis, ad esempio sui rimandi tipologici nelle cappelle. Chiara Frugoni, la più nota storica e studiosa di iconologia ( si veda tra numerosi altri e fondamentali lavori La voce delle immagini, Ei- naudi 2012) è una gradita ospite abituale del Sepolcro di Varallo, rinnovando i fasti di Giuseppe Testori.
Credo si possa dire al riguardo: la curiosità nell’aspet- tativa sarebbe grande sotto il cielo della Valsesia (così bello quando è bello). E la meraviglia originata dal di- svelamento di una parte degli elementi di quel piccolo tesoro potrebbe essere anche superiore.
Gennaio/Aprile • 2018
g. o.
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