Page 18 - Bollettino Gennaio - Aprile 2018
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Varallo Sesia
VARALLO CITTÀ D’ARTE E, NON CASUALMENTE, DI ARTE RELIGIOSA (O SACRA)
Premessa supererogatoria
C’est le regard qui fait le tableau (Duchamp)
ne spesso in Italia a un incontro super parietem? Nel suo autorevole lavoro ha scritto pagine chiarificatrici sul Sacro Monte di Varallo, accostato alle altre esperienze. Sarebbe per noi un modo per far conoscere il Sacro Monte negli Stati Uniti, riannodandoci a Wittko- wer che l’ha fatto conoscere in Germa- nia. .
La nostra critica d’arte - e bibliografia connessa – guadagnerebbe assai a uscire dalla auto-referenzialità.
La conoscenza è compresenza di ogget-
to e soggetto, interazione di soggettivo e
oggettivo i quali, separati, non darebbe-
ro luogo alla conoscenza. Lo affermava
il grande filosofo Husserl, con la teoria
della intenzionalità della conoscenza: il
soggetto (l’io e l’oggetto: il non io) sono
fatti l’uno in funzione dell’altro. La co-
noscenza è uno sposalizio delle persone
e delle cose. Quel maestro della filosofia contemporanea riprendeva le teorie di
San Tommaso d’Aquino e di altri fi-
losofi del Medioevo, che a loro volta si
rifacevano ai classici del mondo antico. La filosofia è perenne, ha il dono dell’eternità, Il pensiero dei veri fi- losofi (e dei filosofi veri) non muore.
Ripresa.
A costo di essere tedioso, mi sembra opportuno, se non proprio necessario, qualche appunto di ritorno ancora su arte e religiosità e sull’estetica della ricezione. Dalla contemplazione del bello (così l’estetica classica) si è transitati alla percezione del bello (e del vero e del buono: i trascendentali). Così l’estetica dei moderni e dei contemporanei.
Non esistono fatti in se stessi. Esistono fatti in quanto sono percepiti, interpretati (Nietzsche) e vissuti, contro il dualismo gnoseologico (la pretesa contradditoria che il soggetto conosce un oggetto al di fuori di se stesso), contro il quale si batterono il filosofo cattolico Bonta-
dini, e il suo scudiero don Angelo Gnemmi, novarese. Da queste premesse, passo a tre proposte pratiche per la declinazione congiunta di arte e vita religiosa o spiri-
tuale sul Sacro Monte.
a) Perché non invitare David Freedberg, noto espo-
nente dell’estetica della ricezione e studioso serio (non un narcisista come altri) della storia dell’arte, che vie-
David Freedberg
Ritengo sia il caso di far parlare David Freedberg, Il potere delle immagini, Einaudi, Torino,
1993 e 2009
p. 295 - Non esiste in occidente un’altra classe di im-
magini – con l’eccezione forse delle cere a grandezza na- turale di cui si parlerà in seguito e di sculture come quelle di Kienholz – che, quanto le sculture dei sacri monti, offra un tale spiegamento di ogni mezzo concepibile per specifi- care, familiarizzare e rendere vivida la rappresentazione; poche altre sono state conservate con tanta continuità ed estensione in scenari di un potere evocativo senza confron- ti, nessuna fornisce una testimonianza così costante di una funzione che è cambiata ben poco in oltre cinque secoli.
p. 630 - ...Col che non intendo la registrazione curiosa o divertita di emozioni sparse e di sensazioni quali appa- iono nella storia aneddotica, o l’elevazione dell’aneddoto allo status di fattore indicativo, come è di moda oggidì; intendo invece il riconoscimento del profondo potenziale cognitivo che sorge dal rapporto tra il guardare (nel senso di guardare intensamente) e l’oggetto materiale figurato.
Ma come possiamo liberarci in modo da riconoscere questo potenziale in una qualsiasi forma anteriore alla sua ri-formazione per mezzo di valori, di codici, e perfi- no di qualunque cosa sia sussumibile sotto la categoria di inconscio collettivo?
p. 632 - Il fatto è che la gerarchizzazione è diventata un marchio distintivo della riflessione occidentale, e di gran parte di quella orientale, sull’arte, e procede di pari passo con la repressione – anche se io non nego nemmeno per un momento che alcune opere sono inesplicabilmente più belle di altre. Il problema della gerarchizzazione è che fa tutt’uno con quella posizione che presume una frat- tura radicale tra immagini “alte” e “basse” e tra reazioni “alte” e “basse”. Continuare a mantenere queste frat- ture radicali significa impedire che le emozioni descrit- te da Barthes abbiano un posto più ampio nella nostra riflessione sul complesso delle immagini, siano esse “alte”
Gennnaio/Aprile • 2018
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