Page 13 - Bollettino Settembre - Ottobre 2018
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Verso i 200 anni di presenza al Sacro Monte (2019)
GLI OBLATI DELLA DIOCESI DI NOVARA (terza parte) Continua da pag. 10
Congregatione ingerirsi nell’aministratione del suddetto Oratorio et in tal maniera perturbare la sudetta Vici- nanza nel sudetto antico e quieto possesso” pretendendo poi, soggiungevano turbati e attoniti i deputati varallesi “introdur nel sudetto borgo di Varallo, senza consenso et in pregiudicio del publico, et senza precedente appro- vatione e licenza di V.S.M. una casa o sij Colleggio di detta luoro Congregatione e Corpo religioso, composto...”, cosa, quest’ultima, fonte di gravi sospetti e foriera di si- cure tensioni in ambito locale “...di soggetti forestieri non suditi di V.M.”.
Perciò, per ovviare a tale stato di cose, la preoccupa- tissima Comunità di Varallo raccomandava alle pre- murose attenzioni del sovrano l’intera spinosa questio- ne chiedendo che almeno si portasse il fatto dinnanzi al Senato in modo da poter discutere e soprattutto pretendere dai padri oblati “fede delle luoro asserite ra- gioni o titoli con quali pretendono d’ingerirsi nell’ami- nistratione del sudetto Oratorio”, chiarendo per quali motivi la Vicinanza di Varallo “in persona de predetti suoi o ciali” non avrebbe più dovuto essere “mantenu- ta nel possesso o sij quasi nell’aministratione” della Cap- pelletta e dei suoi beni. Nel frattempo, in attesa cioè di una decisione sovrana e/o senatoria, si supplicava che gli Oblati, o chi per loro, non potessero in alcun modo occuparsi della gestione dell’Oratorio, né spirituale né, ancor più, temporale, sotto pena di un “meritato castigo conforme a giustitia” .
Dell’aspro dissidio e di quei primi tumultuosi de- cenni del Settecento non restano che poche, ulterio- ri tracce. Ad esempio non c’è nulla nella richiesta del rettore del piccolo stanziamento oblatizio di Varallo, padre Armellino che, quale esecutore testamentario di padre G.B. Rigaldi , preposito generale degli Oblati, venne indirizzata direttamente al vescovo, monsignor Visconti. L’Armellino, “umilmente supplicandola”, nei primi mesi del 1727 chiedeva alla massima autorità diocesana di “aggregare” la porzione di eredità lasciata dal Rigaldi al “Collegio degli Oblati di questa diocesi” e in particolare a “questo Oratorio” ad altri beni acqui- stati dall’Armellino medesimo al ne di “erigerne un congruente bene tio” ben sapendo che ciò sarebbe stato “di miglior decoro del sopraccennato, divoto e equen- tato Oratorio” .
Due anni dopo però, nella tarda estate del 1729 gli Oblati, rappresentati allora da padre Francesco Maria Cravazza, loro “indegno preposto”, scrissero sconso- lati al cardinale Giberto Borromeo, nuovo vescovo di
Novara, lamentando ulteriori, insostenibili tensioni con la cittadinanza: “La povera Congregatione del- li Oblati e suddita dell’Em.za V.a [...] da cui ne sen- tì sempre bene cenze inesplicabili, non può regere alle vessazioni degl’estranei” trovandosi “...presentemente bisognosa del ben forte di lei braccio”. Infatti, spiega- va lo sdegnato preposito, la permanenza e il possesso dell’Oratorio venivano negati agli Oblati “...doppo la morte del sig.r Oblato Armellini, Rettore del Collegio qui sotto enunciato, seguita il dì 11 dello scaduto” tanto che la Comunità “...di Varallo Sesia [...] pretende torre il dominio e possesso antico, giusto e legittimo, quale ha d’un Oratorio detto la Capelletta, e parte del Collegio annesso, situati pochi passi longi da detto borgo”.
All’irrigidimento delle autorità comunali varallesi, continuava amareggiato padre Cravazza, non avrebbe potuto “...far argine che un ordine di V. Em.za trasmes- so al sig.r Preposto Giacobini, Vicario della Valsesia, di di endere il nostro possesso a onte di qualunque may de deputati dell’acennato borgo, come fummi consigliato in Torino ove mi portai per fare racorso” .
Nei decenni successivi, epoca di cui non restano che poche e frammentarie testimonianze documentali , la situazione non dovette certo migliorare molto tra varallesi e oblati se padre Giovanni Battista Diana , curato di S. Giacomo e a sua volta oblato a Novara – da tempo residenza urbana della Congregazione – nel 1766 non seppe trattenersi dal domandare a don Giovanni Francesco Calderini “sacerdote assistente...” per i Padri dell’istituto che a questo l’avevano dele- gato, non potendo loro o ciarvi, “...alla capelletta di Varallo” quale fosse l’atteggiamento, il di uso sentire della popolazione nei confronti dei suoi confratelli: “...et in con denza” chiedeva infatti con discrezione padre Diana “desidero sapere cosa dicano per Varallo degli Oblati e della loro capelletta, e favorisca di scri- vermelo”.
La risposta di don Calderini, solitario gestore della Cappelletta per conto degli indesiderati religiosi della Congregazione novarese, non la conosciamo purtrop- po. Non dovette però essere del tutto rassicurante, tan- to che degli Oblati a Varallo si tornerà a parlare sol- tanto oltre mezzo secolo dopo quando, a seguito delle trattative condotte dal gennaio 1818, in un’Italia che usciva a fatica dalla bufera napoleonica, si giunse al loro insediamento presso il celebre Sacro Monte dal 3 ago- sto 1819. Ma di questo si tratterà a suo tempo.
Andrea Bedina
Settembre/Ottobre • 2018
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