Page 15 - Bollettino Novembre - Dicembre 2017
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toccante ed intima. molti dicono una volta nella vita e io rispondo tutte le volte che potrò. È emozionante essere nei luoghi in cui ha vissu- to Gesù, pensare di essere con lui sulla sponda del lago di Cafarnao, sul monte delle beautitudini o tra le strade di Gerusalemme.
Non ho visto luoghi di straordina- ria bellezza, panorami mozzafiato, come tanti angoli della nostra peni- sola o del mondo ci regalano, non ho ammirato opere d’arte famose nulla di paragonabile a Roma o Fi- renze, ma l’atmosfera che si respi- rava era gravida di senso. Ad ogni scorcio cerchi la conferma che Gesù sia stato proprio lì, il Gesù storico, veramente vissuto, uomo tra gli uo- mini. il vangelo diventa vivo, Gesù della buona novella tramandata nei secoli non è solo un annuncio, è figlio di Maria, nato a Betlemme, cresciuto a Nazareth, pescatore di uomini a Cafarnao e io sono stata proprio lì.
Il nostro percorso è partito da Cafarnao, villaggio di pescatori, adagiato sulle sponde del mare di Tiberiade. il lago è molto tranquillo, non ci sono imbarcazioni che lo sol- cano, le rive non sono affollate. La custodia di Terra Santa ne preserva l’integrità materiale e spirituale.
Qui Gesù ha chiamato i suoi di- scepoli, ha predicato il regno di dio, guarito i malati, consolato gli oppressi, moltiplicato i pani e i pe- sci. ha dovuto infrangere la legge ebraica per smuovere le coscienze e cambiare profondamente il senso della vita dell’uomo.
Le nostre preghiere rimbalzava- no sulla superficie piatta del lago di Tiberiade davanti ai nostri occhi per espandersi verso l’umanità, per calmare il dolore, lenire le ferite di popoli vicini (la Siria, il Libano, la Pa- lestina) e lontani colpiti dalla guerra e dalla mancanza di libertà.
Abbiamo sostato alla Mensa Chri- sti, dove i discepoli di Gesù mangia- rono il pesce della pesca miracolo- sa e Gesù conferì a Pietro il primato. Siamo saliti e scesi dal monte delle beatitudini, in silenzio, riflettendo sulla forza dirompente del discorso della montagna, sulla speranza che libera gli oppressi, gli umiliati, gli ab- bandonati, gli ultimi.
Da Cafarnao poi siamo scesi a Na- zareth, cronologicamente a ritroso nella vita di Gesù.
La città vecchia di Nazareth è fit- tamente abitata, il traffico è caotico e le auto sono parcheggiate senza regole. ma in tutto quel caos, si di- stingue il bianco pulito della Basili- ca dell’Annuciazione: verbum caro hic factum est. Hic e non altrove. La Basilica Inferiore ti accoglie nel- la comprensione del grande mistero dell’incarnazione di Gesù. entrando nella grotta è possibile scorgere cio’ che rimane della roccia naturale che formava la stanza, come nel nostro Sacro Monte di Varallo nell’Origina- ria Cappella dell’Annunciazione, po- sta sul retro della cappella del primo sogno di Giuseppe.
La gente passa di fronte alla grotta, in silenzio, orante, si ferma, contempla il mistero da qui tutto ebbe inizio. A Nazareth abbiamo co- nosciuto alcune donne cattoliche di rito melchita. Nei loro volti la gioia di incontrarci e di raccontare la loro vita, ma anche la loro sofferenza. Perché essere cristiani nella terra di Gesù vuol dire essere una mino- ranza. Oggi rappresentano meno del 2% della popolazione e sono divisi in 14 confessioni diverse. Prevalen- temente sono palestinesi di cittadi- nanza israeliana. Nel 1948, l’anno di proclamazione di Israele, erano circa il 10%. La diminuzione è dovu- ta al clima di instabilità, alle disu- guaglianze nel diritto rispetto ai cit- tadini di religione ebraica, all’assen- za di pace che li induce ad emigrare. Alcuni però resistono alle difficoltà con la speranza donata dal Vangelo.
Saldamente uniti alla terra di Gesù i religiosi, uomini e donne, ri- mangono fedeli alla loro vocazione dell’hic, hic qui e non altrove. Sono presenti nelle scuole, negli ospe- dali, nell’assistenza ai bisognosi e sono autentici testimoni di pace.
I cristiani di Terra Santa sono le pietre vive della chiesa, cercano di costruire dei ponti in un luogo dove si costruiscono muri di divisione. Chiedono a noi cristiani di non di- menticarli e di sostenerli nella pre- ghiera.
Ma ancor più se possibile di anda- re in pellegrinaggio nella loro terra, perché il pellegrino è testimone del- la loro esistenza, della loro presen- za che dura di più di 2000 anni, in una terra divisa e ferita.
Gerusalemme ne è l’emblema, il suo nome vuol dire città della pace, ma la pace a Gerusalemme non
c’è mai stata. Città Santa per le 3 religioni monoteiste, ma città com- battuta, divisa dal muro, presidiata dall’esercito, con la circolazione in- terrotta dai check point.
Matteo, 23-37 «Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto”.
Le suore comboniane che ci han- no ospitato a Gerusalemme gesti- scono un asilo e hanno visto co- struire, nel cortile dove i bambini giocano, il muro che serpeggia tra Gerusalemme est e ovest. Ora due di loro che assistono le popolazioni beduine, fuori dalla città, hanno de- ciso di abitare in un appartamento a pochi metri in linea d’aria rispetto alla loro casa, ma per raggiungerla e passare tutti i controlli impiegano diverse ore. La comunità delle suore si è dovuta dividere per poter conti- nuare la loro missione di carità.
E tante famiglie si sono dovute separare perché non era possibile comprare o costruire nuove case vi- cino ai propri genitori e parenti.
E il muro prosegue, attraversa Betlemme e continua per oltre 700 km. è un muro nato per prevenire, per contenere e controllare. Le diffe- renze si accentuano, si esasperano.
Con il muro non si dialoga, non si cercano punti di contatto, ci si allon- tana e si ha paura di chi è diverso per lingua, religione da entrambi i fronti.
Sembra quasi impossibile che nel- la terra dove Gesù è nato sia così alto il livello di tensione, la limita- zione della libertà, le disuguaglianze sociali. E la situazione peggiora av- viandosi in Cisgiordania, suddivisa in settori A – B – C.
Territori definiti da taluni contesi da taluni occupati, comunque solca- ti da ferite che non si rimarginano. Ramallah, Abud, Ebron... i bambini giocano e vanno a scuola come i nostri bambini ma i loro occhi, se li guardi con attenzione, hanno un velo di tristezza, le loro mamme, donne forti e coraggiose, hanno paura. La paura di chi è consapevo- le che ci sono poche soluzioni.
Signore, noi da qui possiamo pre- gare e tu non li abbandonare.
Claudia Manzoni
Novembre/Dicembre • 2017
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